Fin dai tempi preistorici la vita umana è stata influenzata dalle catastrofi naturali. Uragani, alluvioni, terremoti ed eruzioni vulcaniche sono stati responsabili di milioni di morti ed i loro effetti hanno spesso messo in pericolo la sopravvivenza di intere civiltà. Talvolta le popolazioni erano state attirate verso zone particolarmente esposte alle catastrofi geologiche dalla fertilità agricola, dalla posizione strategica dei luoghi o da altri fattori di carattere culturale. Il numero di vite umane perse in conseguenza dei disastri naturali rende l'idea della relativa importanza dei vari fenomeni. A partire dal 1600 le eruzioni hanno causato approssimativamente 260.000 vittime, di cui circa l'80% in soli sei eventi, mentre durante lo stesso periodo di tempo si stima che almeno cinque milioni di persone abbiano perso la vita a seguito di terremoti. La peggiore catastrofe vulcanica di cui si ha conoscenza (quella del Tambora nel 1815) ha causato circa 92.000 morti, mentre il maggior numero di vittime causato da un uragano è stato di 500.000. Nel disastroso terremoto del 1976, a Tang Shan in Cina, persero la vita 830.000 persone. Negli Stati Uniti, fra il 1963 ed il 1983 le vittime da inondazioni sono state 200 all'anno, quelle causate da frane 25, 12 causate da terromoti, 6 per tsunami (Costa, 1988), mentre solo 3 per anno sono state causate da eruzioni.
Nonostante gli eventi vulcanici sollevino talvolta più impressione di altri fenomeni naturali, da queste cifre appare evidente che in realtà essi pongono meno problemi rispetto ad altre catastrofi più frequenti e in molti casi anche più prevedibili. Questo non toglie nulla alla capacità di distruzione di un evento eruttivo, ma mette in risalto come le conseguenze siano particolarmente legate alla presenza di insediamenti umani in prossimità di apparati vulcanici le cui aree risultano comunque relativamente piccole se confrontate con quelle esposte alla possibilitö di inondazioni, frane e terremoti. Nell'Italia meridionale si trovano concentrati numerosi vulcani attivi ed i loro effetti sull'ambiente sono stati particolarmente rilevanti nel passato. In epoca storica solo Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia, e Etna hanno avuto eruzioni di entità tale da essere ricordate in cronache e storie. Gli altri vulcani attivi italiani insulari (Stromboli, Vulcano, Lipari e i vulcani del Canale di Sicilia) hanno avuto eruzioni a volte anche violente, ma con effetti confinati in un ambito molto ristretto e poco o niente abitato. Proprio per queste ragioni appare importante che vengano studiate tutte le aree vulcaniche, in modo da poter ipotizzare la probabile evoluzione dell'attività di ogni apparato e predisporre tutte le misure perch* questa risulti il meno dannosa possibile.
L'ATTIVITA' VULCANICA Per prevedere le conseguenze di un evento vulcanico è indispensabile conoscere le varie modalità attraverso cui il fenomeno può manifestarsi in superficie. A questo scopo si ricorda brevemente che le eruzioni possono essere suddivise in base alla loro violenza in: - effusive, caratterizzate da una bassa esplosività e dall'emissione di colate di lava che scorrono lungo i fianchi del vulcano. I prodotti delle eruzioni effusive sono quindi rappresentati prevalentemente da colate di lava. Se la lava si raffredda senza riuscire a scorrere, può dare origine ad accumuli di forma circolare chiamati duomi lavici. - esplosive, caratterizzate da estrema esplosività e da un'alta colonna eruttiva che si espande verso l'alto con una tipica nube di cenere a forma di pino. Vengono dette anche "pliniane" prendendo il nome da Plinio il Vecchio che morì durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e da Plinio il Giovane che la descrisse. Un altro tipo di eruzioni esplosive, dette freato-magmatiche, si verifica quando vi è un contatto diretto fra magma ed acqua. In base al volume del materiale emesso e alla violenza dell'esplosione possono essere anche chiamate, in crescendo di violenza: hawayana, stromboliana, vulcaniana, peleana, pliniana, ultrapliniana. Nelle eruzioni esplosive il magma viene frammentato prima di giungere in superficie e viene scagliato verso l'alto sotto forma di pomici, scorie, bombe e ceneri detti prodotti piroclastici. I prodotti piroclastici possono essere suddivisi in base ai differenti meccanismi con cui si depositano al suolo dopo l'eruzione. I prodotti di caduta derivano dal lancio diretto dal cratere o ricadono per gravità da una nube pliniana. Sul terreno i prodotti di un'eruzione possono essere riconosciuti come da caduta quando ricoprono uniformemente la topografia di un'area e il loro spessore diminuisce regolarmente allontanandosi dalla sorgente di emissione. In genere sono stratificati e le particelle presentano spigoli vivi, in quanto non abrase da meccanismi di trascinamento. I prodotti di flusso derivano da nubi troppo pesanti per innalzarsi a formare una pliniana, in quanto più ricche in particelle solide che in gas, che scorrono lungo i fianchi del vulcano. I flussi piroclastici possono avere velocità molto elevate, anche 100 km/h, e raggiungere distanze fino a decine di chilometri dal centro eruttivo. In prossimità della bocca eruttiva il deposito dei flussi piroclastici ha spesso un aspetto caotico e gli elementi che lo costituiscono hanno spigoli arrotondati per effetto dello scorrimento. I prodotti di flusso tendono generalmente ad ammucchiarsi nelle valli e nei punti dove incontrano ostacoli che non riescono a superare. Risultano così completamente assenti nelle aree ad alta pendenza e non presentano una diminuzione regolare di spessore allontanandosi dalla sorgente. A volte i depositi dei flussi piroclastici vengono chiamati tufi o ignimbriti. I prodotti di surges si depositano da nubi simili alle pliniane, ma con una direzione prevalentemente orizzontale. Rispetto a quelle dei flussi veri e propri, le nubi dei surges sono più ricche in gas che in particelle solide e scorrono dai fianchi del vulcano ad alta velocità. Vicino al centro eruttivo, i depositi di un surge sono spesso costituiti da blocchi strappati dal cratere, mischiati a cenere e lapilli di accrezione (detti anche pisoliti, sferette formate per aggregazione di cenere fine e bagnata). Più distanti, si presentano composti da frammenti, vulcanici e non, di dimensioni variabili, mischiati in una matrice di ceneri e lapilli e, a distanza ancora maggiore, i depositi sono formati da cenere fine ben stratificata, spesso con strati contenenti lapilli accrezionali e con una struttura a dune. Rispetto alla topografia, i depositi originati da questi eventi hanno caratteristiche intermedie tra quelli da caduta e da flusso piroclastico: tendono ad inspessirsi nelle depressioni, ma possono ammantare anche piccoli rilievi e fermarsi su pendii dove generalmente non si ritrovano depositi da flusso. Surges e flussi piroclastici in senso stretto possono anche essere chiamati genericamente "flussi piroclastici" e rappresentano, per la loro velocitö di propagazione e per l'elevata temperatura, gli eventi più pericolosi associati con il vulcanismo esplosivo. Un altro fenomeno legato alle eruzioni esplosive è quello delle valanghe di fango (chiamate col termine indonesiano di lahar). Esso è dovuto al rilevante accumulo di ceneri e altro materiale sciolto sui pendii dei vulcani. La pioggia, i ghiacciai sciolti dall'eruzione o il vapore emesso dal vulcano stesso, possono mobilizzare la massa di materiale. Scendendo verso valle questa pu÷ trasportare massi anche di diverse tonnellate e può travolgere tutto ciò che trova lungo il cammino. Le eruzioni esplosive più violente possono mutare completamente la morfologia di un luogo. Se da un lato accumulano grosse quantità di materiale, dall'altro esse demoliscono l'apparato vulcanico preesistente. In alcuni casi, la rapida emissione di magma e il vuoto che viene a crearsi in profonditö possono provocare lo sprofondamento di vaste aree che prendono il nome di caldere. L'INDICE DI ESPLOSIVITA' VULCANICA Uno schema di classificazione delle eruzioni semiquantitativo è stato proposto da Newhall e Self nel 1981 e adottato dalla Smithsonian Institution nella compilazione del catalogo mondiale delle eruzioni (Simkin et al, 1981). L'indice prende il nome di "indice di esplosività vulcanica" (VEI=Volcanic Explosivity Index) e si basa su una serie di parametri osservabili nel corso di un'eruzione, combinati in maniera tale da fornire una scala di relativa grandezza fra i vari eventi. Lo schema è stato particolarmente pensato per formulare una classificazione dell'esplosivitö di un'eruzione e quindi non permette un'adeguata classificazione degli eventi puramente effusivi. In figura 1 - Schema di classificazione delle eruzioni basato sull'indice di esplosività vulcanica (VEI) (Newhall e Self, 1982) |
è riportato lo schema con il quale viene valutato. Sebbene lo schema sia largamente qualitativo, ha tuttavia il pregio di permettere una stima della "grandezza" delle eruzioni anche basandosi su una semplice descrizione dell'evento. Questo dato * molto importante in quanto, come vedremo, consente di attribuire un ordine di "grandezza" anche ad eruzioni avvenute nel passato. Il RISCHIO VULCANICO Gli effetti disastrosi di un'eruzione sono tanto maggiori quanto maggiore è l'urbanizzazione dell'area circostante al vulcano e quanto maggiore è la probabilità di avere fenomeni di tipo esplosivo. Dal 1600 ad oggi, la perdita di vite umane a causa di eventi vulcanici è dovuta quasi interamente a sei episodi, riportati in tabella 1 (modificata da Blong, 1984): Tabella 1 Maggiori catastrofi vulcaniche conosciute e relative cause di mortalità (modificata da Blong,1984) Vulcano | Anno | Numero di vittime | Cause |
Laki (Islanda) | 1783 | 9350 | Carestia |
Unzen (Giappone) | 1792 | 14300 | 70% Frana, 30% Maremoto |
Tambora (Indonesia) | 1815 | 92000 | 90% Carestia |
Krakatau (Indonesia) | 1883 | 36417 | 90% Maremoto |
Pelée (Martinica) | 1902 | 29025 | Flussi piroclastici |
Ruiz (Colombia) | 1985 | 28000 | Valanghe di fango |
Le eruzioni del Tambora e del Krakatau sono state le maggiori eruzioni storiche (VEI=7 e 6 rispettivamente) e, di conseguenza, è alto il numero di vittime; tuttavia questa non è la regola generale. Le eruzioni della Pelée e del Ruiz, ad esempio, hanno raggiunto un indice di esplosività pari a 3, ma hanno causato un alto numero di vittime o per la vicinanza degli abitati o per sfavorevoli condizioni morfologiche che hanno facilitato la propagazione di flussi piroclastici e valanghe di fango. Gli effetti di un'eruzione possono essere risentiti immediatamente nel corso dell'evento o in periodi successivi. In generale si possono suddividere gli agenti potenzialmente pericolosi in diretti e indiretti, a seconda che gli effetti siano immediatamente ascrivibili al fenomeno vulcanico oppure che siano da esso indotto. Un esemplificazione di questa classificazione è stata proposta da Bernstein et al,1986 ed è mostrata nella tabella 2. Effetti delle eruzioni Classe di pericolosità | Esempio di effetti plausibili |
Diretta e immediata | - Pericoli potenziali per colate di lava, flussi piroclastici, esplosioni, terremoti, etc
- Pericolo potenziale per inalazione di cenere e gas (irritazione delle vie respiratorie per SO2, HCl, o HF, peggioramento di pre-esistenti malattie delle vie respiratorie; asfissia per CO2, intossicazione da H2S o CO; soffocamento per cenere vulcanica), ingestione di acqua contaminata da agenti chimici
- Pericolo potenziale psicologico, ambientale, ed economico derivante da: propagazione di false notizie, o incertezza riguardo ai pericoli potenziali; distruzione di sistemi di servizi; distruzione delle proprietà; spostamento di grandi masse di persone in ricoveri temporanei.
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Diretta e ritardata | - Malattie respiratorie per prolungata respirazione o esposizione a gas tossici o ceneri
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Indiretta ed immediata | - Pericoli derivanti da valanghe di fango, inondazioni, incendi e maremoti
- Pericoli sanitari derivanti dallo scoppio di epidemie endemiche dovute alla distruzione dei servizi di routine di sanità ed igiene Indiretta e ritardata
- Pericoli sanitari per l'aumento di agenti infettivi e tossici e la diminuzione dei meccanismi di difesa polmonari.
- Pericoli psicologici, sociali ed economici derivanti dalla distruzione della struttura della società.
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Questo modo di classificare la pericolosità potenziale dell'attività vulcanica implica la necessità di analizzare in dettaglio tutte le conseguenze di un'eruzione e di predisporre i mezzi opportuni a fronteggiare una emergenza, qualora se ne ponga la necessità. Si tratta cioè di analizzare i possibili scenari eruttivi e di predisporre le misure adeguate a minimizzare gli effetti dell'eruzione nel momento in cui si prospetta come molto probabile l'evento. Molto spesso ci si trova di fronte al problema di vulcani che potrebbero tornare in attività dopo un periodo di riposo più o meno prolungato. Lunghi periodi di quiescenza sono abbastanza comuni in certi apparati vulcanici e questo fatto pu÷ comportare nel tempo una caduta di allerta e può creare una serie di situazioni inadeguate (urbanizzazione, viabilità non sufficientemente scorrevole, ecc.) a fronteggiare un pericolo che potrebbe manifestarsi improvvisamente. In questi casi è necessario identificare tutte quelle aree che potrebbero essere interessate dalla ripresa di attività. Si tratta cioè di fare una valutazione di "Rischio vulcanico" basata sulla passata storia del vulcano. Il Rischio è definito (Unesco, 1972, Fournier d'Albe, 1979) come il prodotto: Rischio = (Valore) x (Vulnerabilità) x (Hazard) dove il Valore è dato dal numero di vite umane, oppure dal valore in beni immobili, a rischio in un'area vulcanica; la Vulnerabilità è il valore percentuale delle vite umane (o beni) a rischio in conseguenza di un dato evento, e l'Hazard è la probabilità che una data area sia soggetta ad un determinato evento vulcanico distruttivo. Con questa definizione di rischio si cerca di tener conto del fenomeno naturale e della probabilità con cui si ripete nonchè degli effetti che esso può determinare sull'ambiente umano. Nelle valutazioni di Hazard, per quanto possa sembrare strano, l'elemento di maggiore difficoltà nella stima del rischio, è proprio la valutazione della probabilità di eruzione del vulcano. Questa stima è ancora più complessa quando il vulcano ha lunghi periodi di quiescenza e presenta poche eruzioni in epoca storica. Di conseguenza, diventa anche più difficile la ricostruzione della sua storia eruttiva, la cui accuratezza rappresenta la base per un lavoro di previsione. La vita di un vulcano abbraccia periodi di tempo dell'ordine delle decine o centinaia di migliaia di anni.e, per ricostruire la sua storia eruttiva, bisogna ricorrere a metodologie differenti che siano in grado di coprire spazi temporali così vasti rispetto alla durata della vita umana. I documenti storici permettono uno studio accurato solo per quello che riguarda le ultime centinaia di anni. La lunghezza del periodo storico ricoperto da testimonianze è però variabile a seconda delle aree geografiche. L'area italiana é particolarmente "fortunata" in quanto sede delle più antiche civiltà testimoni di buona parte degli eventi vulcanici negli ultimi 2500 anni. In altre aree del mondo, come ad esempio gli Stati Uniti, si dispone di testimonianze dirette dell'attività vulcanica solo per gli ultimi 100 anni. Gli studi geologici sono utilizzati per ricostruire la storia vulcanologica di un particolare vulcano soprattutto dove non si hanno altri tipi di informazioni. Con le datazioni assolute si possono stimare, partendo dai prodotti, le età delle varie eruzioni. La vulnerabilità è stimata invece sulla base della relativa pericolosità dei fifferenti eventi vulcanici . Un esempio è dato dalla tabella riportata qui di seguito Cause di mortalità nel corso di eruzioni vulcaniche nel periodo 1900-1985(Modificata da Blong, 1984) Tipo di Evento | vittime | % |
Colate di lava | 85 | 0.11 |
Caduta di ceneri e proietti | 3019 | 3.98 |
Flussi piroclastici e surge | 36787 | 48.55 |
Valanghe di fango | 28438 | 37.53 |
Attività sismica | 32 | 0.04 |
Maremoti | 407 | 0.54 |
Gas e piogge acide | 1710 | 2.26 |
Malattie e carestie | 3163 | 4.17 |
Cause sconosciute | 213 | 2.8 |
totale | 75774 |
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IL RISCHIO VULCANICO NELL'AREA NAPOLETANA Malgrado da molti anni la comunità vulcanologica internazionale stia lavorando allo scopo di ridurre gli effetti delle eruzioni, a tutt'oggi si dipone di carte di Hazard solo per un numero limitato di vulcani, mentre le stime di Rischio sono disponibili solo per l'area napoletana (Scandone et al, 1993, Scandone e D'Andrea, 1994, Mattera 1995). Qui di seguito si riportano gli unici esempi disponibili degli studi di valutazione di rischio per il Vesuvio e i Campi Flegrei. Questi due casi sono esemplificativi di due tipi diversi di vulcano: ad apparato centrale il Vesuvio ed a campo vulcanico con diversi centri di emissione i Campi Flegrei. Analizzando le storie vulcanologiche di Vesuvio e Campi Flegrei è stato possibile stimare la probabilità di eruzione per i due vulcani e per ciascuna classe di esplosività.
I valori di probabilità utilizzati per il Vesuvio ed i Campi Flegrei hanno come riferimento un intervallo temporale di dieci anni.
Vesuvio Rispetto ai Campi Flegrei, il Vesuvio ha un numero più elevato di eruzioni a bassa esplosività. Le classi di VEI considerate come capaci di produrre rischio per l'area Vesuviana sono tre. Il primo tipo comprende eruzioni moderate o a piccola scala, analoghe a quelle avvenute nel 1906 e nel 1944, definibili, secondo lo schema di Walker (1973), "stromboliane". A questo tipo di eruzione é attribuito un Volcanic Explosivity Index (VEI) pari a 3. Il secondo tipo di eruzioni è a "scala intermedia", riferibile come esempio alle eruzioni del 472 d.C. e del 1631. A una tale attività, definita "sub-pliniana", è attribuito un VEI uguale a 4. Il terzo tipo di eruzioni è a "grande scala", analoghe all'eruzione del 79 d.C. che distrusse Ercolano e Pompei. Si tratta di eruzioni catastrofiche con alti valori di esplosività, definite "pliniane" con un valore di VEI uguale a 5. I valori di probabilità di ciascuna classe, cioè la probabilità di osservare almeno una eruzione di determinato VEI nei prossimi dieci anni, sono: P3(>=1,10) = 0.0989 P4(>=1,10) = 0.0175 P5(>=1,10) = 0.0030 Il prodotto tra la probabilità assoluta di eruzione e la probabilità relativa che un'area intorno al vulcano sia interessata da una certa fenomenologia dà l'hazard. I criteri utilizzati per il calcolo delle probabilità relative sono diversi a seconda dell'intensità delle eruzioni e delle loro caratteristiche. In particolare la probabilità relativa che un'area intorno al vulcano sia interessata da lave, da flussi piroclastici e lahar é stata stimata in base alla morfologia dell'area, alla passata storia eruttiva ed all'entità dell'eruzione in oggetto. Come valori di vulnerabilità per vite umane sono stati attribuiti valori molto bassi per quanto riguarda le lave e valori più elevati, decrescenti con la distanza, per le fenomenologie di flussi piroclastici e lahar. Come parametro di Valore è stato considerato il numero di abitanti residenti in ciascun comune. I valori di Rischio per ciascun comune sono riportati nella figura 2 . - Classificazione di Rischio vulcanico dei comuni vesuviani in base allo schema proposta da Scandone et al (1993). Le classi di rischio sono basate su una scala logaritmica e quindi ogni passaggio di classe comporta perdite maggiori di un ordine di grandezza |
La suddivisione in quattro classi di rischio è fatta su base logaritmica, cioé il passaggio da una classe all'altra comporta una variazione di Rischio di un ordine di grandezza. Per i comuni che ricadono nelle prime due classi è ipotizzabile che, in caso di emergenza vulcanica, vengano adottate misure di evacuazione o quanto meno di riduzione del numero di abitanti esposti (evacuazione di ospedali, persone inabili, ecc). In base a questa suddivisione si nota che i sei comuni con rischio "altissimo" sono i comuni di Torre Annunziata e Torre del Greco, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Napoli (zona orientale). Per questi comuni si impongono delle scelte drastiche per la riduzione del rischio ed è ovvio che devono essere quelli sui quali si devono concentrare i principali interventi della Protezione Civile in caso di imminenza di attività vulcanica. Per i comuni che ricadono nella categoria ad alto rischio il discorso è simile. Tuttavia questi si trovano in una zona abbastanza ampia attorno al vulcano e quindi gli interventi in caso di imminenza di attività vulcanica devono essere valutati caso per caso. Per i comuni che ricadono nelle altre due classi sarebbe opportuno prevedere delle misure tecniche da adottare in caso di eruzione vulcanica, senza tuttavia ricorrere a misure drastiche di evacuazione. Nel quadro generale della mappa di rischio schematica mostrata in figura figura 3 Mappa di Rischio vulcanico dell'area vesuviana |
risulta evidente che l'area esposta a maggior rischio è quella costiera e ciò sia per l'altissima densità di abitanti, sia per la morfologia e relativa vicinanza dei centri abitati al vulcano.
In questo quadro va sottolineata la particolare situazione di Napoli, la quale deve il suo coefficiente di rischio elevatissimo prevalentemente ad eventi con VEI=4 (60%) e VEI=5 (40%). Nonostante la la distanza, la morfologia e una probabilità relativamente bassa che questi eventi si verifichino nel corso del prossimo decennio, l'elevatissimo numero di persone residenti nelle zone orientali della città fa rientrare quest'area fra quelle con maggior coefficiente di rischio.
Campi Flegrei Per i Campi Flegrei il metodo di valutazione ha tenuto in considerazione la mancanza di un apparato centrale dal quale attendersi un'eruzione e, quindi, la possibilità di apertura di bocche eruttive in ciascun punto dell'area in oggetto . Su questa base, si è proceduto alla elaborazione di una carta con indicazione delle zone a differente probabilità di apertura di centri eruttivi. I risultati ottenuti sono simili a quelli riportati in Cortini e Scandone (1987). Le classi di VEI considerate in grado di produrre rischio per l'area flegrea e zone esterne sono quattro. Il primo tipo è quello che comprende le eruzioni moderate o a piccola scala, analoghe a quella avvenuta nel 1538 con l'eruzione di Monte Nuovo, che si possono definire, "stromboliane". A questo tipo di eruzione è stato attribuito un Volcanic Explosivity Index (VEI) pari a 3. Il secondo tipo di eruzioni è a "scala intermedia", paragonabili alle eruzioni di Astroni ed Averno avvenute 3700 anni fa. A una tale attività, definita "sub-pliniana", è stato attribuito un VEI uguale a 4. Il terzo tipo di eruzioni è a "grande scala" come le eruzioni del Gauro o delle Pomici Principali avvenute circa 10000 e 9000 anni fa. Si tratta di eruzioni catastrofiche con alti valori di magnitudo, intensità ed esplosività; sono dette "pliniane" ed è stato loro attribuito un valore del VEI uguale a 5. Il quarto tipo di eruzioni è a scala regionale, cioè con effetti su un'area più ampia di quella flegrea e napoletana, confrontabili con l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano che ha dato luogo alla formazione della caldera flegrea 12000 anni fa. A una tale attività, definita "ultra-pliniana", è stato attribuito un VEI uguale a 6. I valori di probabilità di ciascuna classe sono rispettivamente: P3(>=1,10) = 0.0104 P4(>=1,10) = 0.0045 P5(>=1,10) = 0.0019 P6(>=1,10) = 0.0008 In questo caso il rischio di perdita di vite umane deriva principalmente o dall'apertura di bocche eruttive o dal raggiungimento dell'area da parte di un flusso piroclastico o di un surge. L'apertura di una bocca eruttiva in un posto piuttosto che in un altro avrà conseguenze differenti a seconda dell'urbanizzazione dell'area e, per questa ragione, si è valutata un'"area di avvertibilità". L'area di avvertibilità è, per ciascun punto, l'area entro la quale si possono aprire bocche eruttive dalle quali venga emesso un flusso piroclastico che raggiunga il punto considerato. Analogamente per il Vesuvio il Rischio è calcolato sulla base della popolazione residente. Nella figura 4 - Classificazione di Rischio vulcanico dei comuni flegrei |
è riportato il Rischio per i comuni flegrei ed extraflegrei. Risulta evidente che i comuni esposti a maggior Rischio sono Pozzuoli e Napoli dove il grado è addirittura catastrofico. Nella figura 5 - Mappa di microzonazione del Rischio nell'area flegrea |
è mostrata la microzonazione del Rischio per quanto riguarda esclusivamente l'area flegrea (in questo caso il settore della città di Napoli compreso nell'area flegrea ha un valore classificato come "altissimo"; il passaggio alla categoria superiore si ha con l'inclusione del resto della città) . Nella parte centrale dei Campi Flegrei, e cioé nella zona di Pozzuoli, sono localizzate le maggiori probabilità di accadimento degli eventi vulcanici considerati. La cittö di Napoli raggiunge un valore di Rischio che probabilmente non ha alcun riferimento al mondo per l'alta densità abitativa . I Campi Flegrei, al pari dell'area vesuviana, rappresentano una situazione paradossale in quanto le scelte urbanistiche finora adottate non hanno assolutamente tenuto conto dell'ambiente naturale. Si è giunti ad un punto tale che per poter ridurre il Rischio a valori medi sarebbe necessaria solo una drastica riduzione delle popolazioni esposte. Ovviamente ci÷ non appare possibile per gli alti costi sociali ed economici. D'altra parte non è facile limitarsi a sperare che non accada niente. La mancata attenzione a questi problemi ha già avuto costi rilevanti per la comunità nel corso delle crisi bradisismiche dei Campi Flegrei del 1970-72 e 1982-84. Durante quelle crisi, una parte notevole della popolazione di Pozzuoli è stata evacuata permanentemente dall'area del centro storico e ricollocata in aree dello stesso comune aventi gli stessi coefficienti di rischio. Inoltre i nuovi insediamenti hanno rappresentato un nucleo di nuova urbanizzazione che ha determinato l'aumento complessivo della popolazione dell'area flegrea.
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