CERCASI SPONSOR E DONAZIONI --- CERCASI SPONSOR E DONAZIONI --- CERCASI SPONSOR E DONAZIONI

sabato 25 febbraio 2012

Inchiesta Wikileaks/ Assange agente della CIA?

L’ex agente del KGB, Daniel Estulin, ha le idee ben chiare su che cosa sia realmente Wikileaks. Ma invece di custodire il segreto, ha deciso di renderlo noto in un nuovo libro. Archiviato per ora il Club Bilderberg, al quale ha dedicato molti articoli e un omonimo saggio, ha deciso di dedicarsi a Julian Assange e alla sua “creatura”, sui quali ha molti segreti da rivelare.
Da me raggiunto telefonicamente ha confermato le anticipazioni che erano trapelate su alcuni siti stranieri sul Cablegate che solo in apparenza ha scosso le fondamenta dei servizi segreti e dei maggiori Governi al mondo. Perché, come ricorda Estulin, si deve sempre diffidare di tutto e di tutti e dei personaggi di ombre, fumo e specchi che periodicamente si affacciano sugli scenari mondiali.
Nel suo nuovo libro, Desmontando a Wikileaks, Estulin rivela i retroscena del sito: l’organizzazione non è una creazione di Assange – spiega Estulin – ma della NSA nordamericana e della CIA.
Che su Assange potesse aleggiare l’ombra della CIA era abbastanza evidente: in fondo le informazioni “top secret” rivelate da Wikileaks non sono state così sconcertanti, anzi.
Avevo già ipotizzato nel mio saggio L’altra faccia di Obama, che dietro l’hacker australiano si potesse nascondere una forma di cover up. L’ultimo saggio di Estulin non solo conferma il mio dubbio, ma ricompone i pezzi di un puzzle che una volta completato rivela però un’ipotesi più tragica.
Ho contattato Estulin per saperne di più dopo avere svolto delle ricerche parallele al suo lavoro per capire se anche le mie fonti mi avrebbero condotto alle stesse conclusioni. Così è stato.
Per Estulin Assange è soltanto un “burattino” della CIA: lavorerebbe per l’Agenzia, senza però esserne minimamente cosciente. Estulin insiste molto su questo punto: al telefono ha continuato a ripetermi, He doesn’t know, do you understand? Non sa nulla, capisci? E io a rassicurarlo – Yes, yes, I understand. Ho capito. Non vuole che si creda che Assange sia un agente CIA. L’hacker australiano sarebbe soltanto uno dei tanti strumenti che l’Agenzia americana utilizzerebbe nelle sue sofisticate operazioni di Azione/Reazione. Come ci ha spiegato ampiamente David Icke nei suoi saggi, la CIA adotta spesso dei piani che far accadere “qualcosa” di traumatico – o che comunque colpisca l’opinione pubblica – per intervenire con la giusta “soluzione” e imporre ad esempio nuove restrizioni pubbliche, possano riguardare la privacy o ad esempio l’economia, oppure guerre di espansione motivate come necessarie per la contrastare un Nemico invisibile – come il terrorismo.
Seguendo questa dinamica, Wikileaks sarebbe soltanto un espediente per gettare fumo negli occhi alla popolazione e rendere evidente la debolezza dei sistemi informatici governativi per poter poi chiudere l’accesso libero a internet. Un obiettivo parallelo alle norme di restrizione della privacy contenute nel Patrioct Act Cybernetico varato nel 2009 e confermate recentemente dal “democratico” Obama.
Lo scorso anno Pino Cabras ci aveva già avvisati dei pericoli di manipolazione che si potevano nascondere dietro a Wikileaks: «Ora che ci dicono che con le prime nuove soffiate di Wikileaks sta esplodendo “l’11 settembre della diplomazia” ovvero “l’11 settembre di internet”, deve valere una premessa: non ci sono individui, e neanche organizzazioni, che siano in grado di leggere 250mila documenti in breve tempo. Quindi ci arriva solo un flusso filtrato di documenti. E chi lo filtra, per ora, è la vecchia fabbrica dei media tradizionali. Se di un 11 settembre si trattasse, saremmo nella fase del trauma mediatico iniziale, quella che ci dà l’imprinting, l’apprendimento base del nuovo mondo su cui ci affacciamo e delle nuove credenze sulle quali far fede. Una volta educate le menti con questo shock, le sue riletture successive andranno controcorrente e perciò partiranno sfavorite». Quasi un anno fa Cabras parlava degli “imprinting” che Wikileaks avrebbe prodotto. Primo: far vivere un trauma alla popolazione, «come se prima del percolare dei segreti attraverso Wikileaks non vi fosse modo di interpretare la politica, la diplomazia, i segreti, le normali trame degli Stati», secondo la manipolazione dei dispacci pubblicati, infine, il pretesto per un giro di vite sul web.
Il terzo imprinting per Cabras sarebbe la creazione dello “scompiglio sul web”, così forte da «risvegliare coloro che dal caos vorrebbero trarre un nuovo ordine sulla Rete. Due anni fa pubblicammo l’allarme del giurista [...] Lawrence Lessig, il quale prediceva che “sta per accadere una specie di ’11 settembre di internet”, un evento che catalizzerà una radicale modifica delle norme che regolano la Rete. Lessig rivelava che il governo USA, così come aveva già pronto il Patriot Act ben prima dell’11 settembre, aveva già “un Patriot Act per la Rete dentro qualche cassetto, in attesa di un qualunque considerevole evento da usare come pretesto per cambiare radicalmente il modo in cui funziona internet”. Così come George W. Bush, anche Obama sta facendo di tutto per avere, oltre alla valigetta nucleare, anche i bottoni per spegnere il web. L’evento in corso potrebbe spingere molti governi a voler affidare a qualcuno la nuova valigetta del potere. La Cina traccia il solco da tempo, del resto».
La schizofrenia americana che da una lato dichiara di voler promuovere la democrazia e i diritti umani – quali l’accesso a internet in Paesi dove vige la censura, come la Cina – si scontra costantemente contro l’orientamento neocon che sembra affliggere la Casa Bianca indipendentemente da chi la occupa. Così Obama, nonostante le promesse della campagna elettorale, si è trovato ad abbracciare una politica interna ed esterna troppo simile a quella indicata da G. W. Bush. La conferma del Patrioct Act – definito dal Presidente americano “uno strumento importante” – è in questo senso emblematico.
Wikileaks avrebbe offerto, secondo Estulin, al Governo USA una buona ragione per spegnere il pulsante e oscurare il web, o meglio, a “cambiare il paradigma della società” e a poter controllare il web e dunque l’informazione. Non si deve necessariamente spegnere internet per censurare. Basta poter essere in grado di “controllare l’accesso libero a internet”, sostiene Estulin che spiega: “se puoi controllare internet, controlli l’informazione e la conoscenza”.
Concorda a distanza il giornalista investigativo Webster Tarpley, convinto che il prossimo passo del Pentagono sarà “un ripulirsi generale di internet, chiudendo tanti siti critici, utilizzando come pretesto i segreti spifferati da Assange” che, prosegue Tarpley, avrebbe dimostrato di lavorare per la CIA, non solo parlandone bene, ma facendo il gioco dell’Agenzia: in questo senso Wikileaks avrebbe rivelato soltanto notizie scomode ridicolizzando i nemici americani, Putin e Berlusconi in primis.
Estulin ricorda invece che i documenti pubblicati da Wikileaks sembrano non toccare Israele e invece concentrarsi contro il Pakistan, l’unico Paese musulmano dotato di armamento nucleare.
Anche il co-fondatore di Wikileaks, John Young, ha accusato l’ex collega di fare gli interessi di gruppi “occulti” e di essere addirittura “pilotato” dalla CIA.
Tarpley ha inoltre puntato il dito contro Cass Sunstein, attuale funzionario alla Casa Bianca e gran consigliere di Obama, il quale nel 2008 aveva propugnato una forma di “infiltrazione cognitiva” attraverso la creazione di appositi gruppi, attivisti, siti web, “per spargere disinformazione, confusione, a calunnie” sul Governo. Tali false teorie della cospirazione – una volta sbugiardate – avrebbero avuto come effetto quello di screditare i teorici del complotto e dall’altra catalizzare la fiducia della popolazione nei confronti del Governo USA: “Non e’ evidente – si chiede Tarpley – che Wikileaks rappresenta la realizzazione di questa strategia?”. Sunstein si spingeva a ipotizzare infatti l’infiltrazione di agenti CIA in queste organizzazioni fino al finanziamento di testate all’apparenza indipendenti che in tal modo sarebbero state invece manovrate dall’esterno. In questo modo gruppi di attivisti o testate giornalistiche indipendenti avrebbero finito per lavorare inconsapevolmente a fianco o per agenti della disinformazione.
Assange, nonostante sia un teorico dei complotti governativi, nega risolutamente che ci sia stato alcun complotto dietro gli avvenimenti dell’11/9. Quindi da un lato sostiene che “Ogni volta che la gente potente pianifica in segreto, essa mette in atto una cospirazione. Quindi ci sono cospirazioni dappertutto. Ci sono anche teorie del complotto geek. È importante non confonderle”, ma, in linea con una politica che sembra non volere – o non poter – attaccare in alcun modo Israele e il Mossad, nega ad esempio il coinvolgimento dei servizi israeliani nell’attacco al World Trade Center e al Pentagono. O meglio, non diffonde alcun documento segreto e lontanamente tale che possa danneggiare il Mossad.
Tarpley ricorda inoltre che è stato proprio Cass Sunstein a menzionare Wikileaks per la prima volta nella grande stampa americana, scrivendo sul Washington Post del 24 febbraio 2007: “Wikileaks.org, fondato da dissidenti in Cina e in altre nazioni, intende pubblicare documenti governativi segreti proteggendoli dalla censura con software criptato”.
Strano che il propugnatore di una sofisticata teoria della disinformazione faccia pubblicità a quel cyber terrorista che si sarebbe dopo pochi anni rivelato essere Wikileaks! O forse dovremmo dire, che ci hanno voluto far credere essere uno strumento di cyber terrorismo, mentre lavorava, consapevolmente o no, per NSA e CIA?
Non solo.
Estulin si spinge oltre sostenendo che “le prove dimostrano che Wikileaks rientra in un progetto di propaganda del Governo e, allo stesso tempo agisce in qualità di copertura per il ruolo del governo americano nel business della droga in Afghanistan”. A sostegno di questa posizione si può ricordare la decisione del Mullah Omar di vietare la coltivazione di oppio in Afghanistan – prima ovviamente che le truppe americane iniziassero a bombardare Kabul… e a ristabilire l’impero dei Signori della Droga.
Il nuovo legale di Assange, il principe del foro americano, il 72enne Alan Dershowitz, si era esposto – prima di assumerne la difesa – dicendosi d’accordo con Obama nel definire il Cablegate “una minaccia per gli USA e la diplomazia internazionale”. Detto ciò, Dershowitz ha deciso di affiancare i legali dello Studio londinese di Geoffrey Robertson, perché, a suo dire, “la libertà di espressione protegge anche le attività pericolose. Il Governo sbaglia se vuole perseguire Assange”.
Facendosi dunque scudo del primo emendamento Darshowitz si è detto intenzionato a difendere la libertà di parola del suo cliente. Certo che stride saperlo “grande amico” del Presidente o di Hillary Clinton, alla quale si deve proprio la difesa digitale per tutti, eccetto che per Wikileaks…
In ogni modo ora il nome di Dershowitz compare addirittura nella pagina dei contatti di Wikileaks: ora forma di autoincoronazione. L’avvocato attivista amico del Segretario di Stato che vorrebbe censurare Wikileaks! Altro che conflitto di interessi, chissà che delusione per la Clinton scoprire che l’amico Dershowitz era stato “folgorato” sulla via londinese che porta allo studio legale che difende Assange.
O forse, rientra in un piano più sofisticato di ombre, fumo e specchi, dal quale ci ha consigliato di diffidare uno che di tecniche di manipolazione e controllo se ne intende, come Estulin?

Nessun commento:

Posta un commento