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sabato 25 febbraio 2012

La fiducia sul web ha valore "E' una moneta di scambio"

NEL FEBBRAIO 1996, a soli sei mesi dal lancio, il fondatore di Ebay Pierre Omidyar scriveva a tutti gli utenti del sito una lettera che diceva così: "Tutte le persone sono oneste, ma alcuni sono disonesti. Cercano di approfittarsene. E nonostante in questi sei mesi diecimila transazioni sono andate a buon fine e soltanto una dozzina si sono concluse male, siamo costretti a intervenire". Questa è la vita! Continuava Omidyar, che, con quella lettera, introduceva sul suo sito il feedback, un sistema che permetteva di dare un voto (positivo 1, neturale 0, negativo -1) , sia al venditore sia all'acquirente, e di lasciare un breve commento al fine di ogni transazione. Voto e commento sarebbero bastati, secondo Omidyar, a definire l'affidabilità delle controparti e a scoraggiare i disonesti. Un sistema semplice che, seppur con alcuni aggiustamenti, funziona ancora oggi. Ma l'obiettivo è studiare un sistema tutto nuovo per calcolare la nostra reputazione online. Un sistema globale"

"Nel 2008 abbiamo festeggiato un milione di feedback lasciati a uno stesso utente", afferma Iryna Pavlova, responsabile della Comunicazione di eBay.it, "c'è sempre qualcuno che non porta a buon fine la transazione, ma sono casi statisticamente molto rari, tanto che per consentire a chi acquista di comprare in tutta sicurezza,  abbiamo creato il Programma di protezione dell'acquirente che permette di rimborsare fino all'intero prezzo di acquisto qualora la transizione non andasse a buon fine". La reputazione diventa moneta
di scambio, dunque. Se ti comporti bene continui a vendere e ad acquistare altrimenti vieni escluso. E' il vecchio potere del passaparola che incontra le forze moderne della rete.

E se nel '96 poteva sembrare avveniristico pensare che un sistema basato sulla reputazione potesse incidere sulla società dei consumi e della proprietà, oggi, nell'era di internet e dei social media, e della cosiddetta economia della condivisione (sharing economy) sembra questo il modo per ricostruire quel sistema di fiducia che la politica e l'economia hanno ormai decisamente eroso. "A mio parere", afferma Neal Gorenflo fondatore e responsabile della rivista Shareable 1, "il vecchio contratto sociale si è rotto, quello in cui gli individui votavano e facevano acquisti per sostenere il governo e le imprese nel processo di organizzazione di una società giusta e sicura. Un nuovo contratto sociale sta emergendo nel quale gli individui lavorano in una rete fra pari per provvedere alla vita di tutti i giorni. Internet e mobile sono le chiavi che coordinano e abilitano questo spostamento di potere e di fiducia."

Parole che sembrano trovare conferma anche nella ricerca The New Sharing Economy 2, realizzata dallo stesso magazine di Gorenflo e da Latitude Research 3, dalla quale emerge che il 78% degli intervistati ritiene di essere più disponibile a condividere offline grazie all'abitudine a interagire online, mentre l'85% crede che web e mobile giocheranno un ruolo cruciale nel costruire in futuro una società basata sulla condivisione. E' il potere delle organizzazioni senza organizzazioni, come l'aveva descritto Clay Shirky nel suo libro Here Comes Everybody, quello cioè delle persone che, attraverso internet e social media, si mettono in contatto, si organizzano e collaborano.

All'ombra dei movimenti Occupy Wall Street e Occupy London, in America e in Gran Bretagna soprattutto, ma in parte anche in Italia, sempre di più prendono forma e si diffondono idee e servizi che attraverso la condivisione dei beni, il riciclo e lo scambio, promuovono modelli di acquisto, di consumo e di vita diversi da quelli a cui siamo abituati. Oggi in questi paesi si condivide di tutto: dalla macchina (Zipcar 4), agli appartamenti (Airbnb 5), dai passaggi auto, (Zimride 6), al trapano e alla falciatrice, (sharesomesugar 7), dall'orto (Landshare), ai vestiti (thredUP 8), fino alle competenze (Skillshare 9), al tempo (TaskRabbit 10), e persino al denaro (Zopa 11). Sono ormai centinaia le piattaforme di consumo collaborativo, come sono stati definitivi questi servizi da Botsman e Rogers nel loro libro "What's mine is yours", sistemi che mettono in contatto gli utenti senza assicurare nessuna garanzia sulla transazione.

Ma come affidare a uno sconosciuto le chiavi della propria casa? Come condividere senza timori il proprio giardino, la propria macchina, il garage senza conoscere personalmente chi ci entra? Domande che necessitano una risposta rapida se si desidera che i servizi collaborativi raggiungano un numero più ampio di persone. Proprio la paura del furto e del danneggiamento agli affetti personali, infatti, sempre secondo Latitude, risulta essere, oggi, il maggior ostacolo al diffondersi di comportamenti collaborativi. Perché se è vero che i disonesti sono pochi, quando si incontrano sono dolori. Ha fatto scalpore quest'estate, la denuncia di una donna che rientrando a casa dopo un viaggio d'affari, ha trovato il suo appartamento, affittato su Airbnb, saccheggiato e distrutto dai presunti ospiti. A gennaio un furto di quattro auto per una perdita totale di 300.000 dollari, ha costretto HiGear 12, piattaforma di noleggio di macchine di lusso, a sospendere il servizio, dando un altro duro colpo alla credibilità alla cosiddetta sharing economy.

Il sistema di fiducia diventa quindi parte fondamentale della progettazione di un servizio collaborativo. Il feedback rimane di certo la funzionalità più usata, ma spesso viene associata anche ad altri meccanismi. TaskRabbit, per esempio, fa un video screening dei candidati e chiede loro di registrarsi con la propria reale identità e non con un nickname. Airbnb, invece, invita gli utenti a connettere il proprio profilo a quello di  Twitter e Linkedin in modo da permettere ai proprietari di inquadrare professione e abitudini quotidiane dell'eventuale ospite. Amovens in Spagna e Zimride in USA consentono di creare gruppi chiusi che delimitano il rischio. Zipcar, infine, punta anche sulla community, chiamando Zipster  i propri clienti, sperando che un'identità comune inibisca ulteriormente i cattivi comportamenti.

Ma al di là delle singole soluzioni chi si occupa di sharing economy  inizia a pensare a una soluzione più strutturata, un sistema di reputazione globale. Rachel Botsman a wired 2011 ha dichiarato che l'abilità di misurare la reputazione di una persona attraverso diverse piattaforme diventerà una metrica importante nel 21 secolo, più importante persino della nostra storia creditizia. Ci credono anche gli investitori che secondo il Businessweek hanno concesso un finanziamento di 30 milioni di dollari a Klout 13, il sistema di misurazione della nostra influenza online oggi più famoso. L'azienda ha sviluppato un complesso e poco chiaro algoritmo che, calcolando la frequenza con cui ci muoviamo sui principali social media, i messaggi che vengono rilanciati, l'impatto che essi hanno online, ci assegna ogni mattina  -  quasi a volerci dare il buongiorno  - un "Klout score", un punteggio che va da 1 a 100. Una sorta di  "PeopleRank"  simile al PageRank di Google per le pagine web, che ha sollevato numerose perplessità.

La nostra affidabilità può davvero dipendere dall'influenza che esercitiamo sui diversi social media? E' la domanda provocatoria che fa uno dei tanti concorrenti di Klout, Trustcloud 14, che, invece, ha l'ambizione di misurare non tanto la nostra influenza quanto l'affidabilità, dando origine a un badge che si può portare su qualsiasi sito web. Così ognuno di noi può risultare essere trasparente, servizievole, connesso con la community di riferimento, ecc. Ma anche in questo caso i dubbi sono molteplici e vanno dalla reale affidabilità dell'algoritmo, alla difficoltà di dare un peso oggettivo a commenti e movimenti che oggettivi non sono, a come riconoscere eventuali giudizi falsi o guidati, al peso da attribuire a certi commenti piuttosto che ad altri.

La questione rimane dunque aperta e la soluzione ancora lontana. Certo è che questi tentativi sembrano tutti andare in una sola direzione: se è vero, infatti, che la reputazione è la nuova moneta per costruire un nuovo sistema di fiducia c'è bisogno di sapere quanto ognuno di noi ha nel suo portafoglio.

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