“Se lo Stato pagasse i 70 miliardi di euro che deve ai suoi creditori, pari a oltre 4 punti percentuali di Pil, il rapporto debito-prodotto interno lordo aumenterebbe di 4,3 punti percentuali, attestandosi attorno al 125%. Un risultato che, ovviamente, comporterebbe un aumento della spesa pubblica e il rischio di una caduta di credibilità e di fiducia dei mercati finanziari nei confronti del nostro Paese”.
A parlare è Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre che ha lanciato un interrogativo circa l’annoso problema dei ritardi di pagamento della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese private italiane: lo stato non paga le imprese per non aumentare il debito pubblico?
Ma quali sono le ragioni che hanno portato gli artigiani mestrini a porsi questa domanda? Secondo il manuale del SEC95, che definisce le regole contabili che valgono per tutti i Paesi Ue, i debiti commerciali verso le imprese private non devono essere contabilizzati nel bilancio pubblico. Gli effetti sulle casse pubbliche si fanno sentire solo nel momento in cui tali debiti vengono saldati, alimentando così il fabbisogno pubblico e peggiorando di conseguenza il rapporto tra debito e Pil.
Dalla Cgia ricordano che il Governo Monti, grazie al decreto sulle liberalizzazioni, ha messo a disposizione della Pubblica amministrazione 5,7 miliardi di euro per saldare una parte dell’ammontare complessivo che deve ai privati e sta studiando, con il meccanismo del “pro solvendo”, una soluzione che potrebbe non trasformare questi debiti commerciali in finanziari.
L’applicazione di questa ipotesi, secondo la Cgia, potrebbe sbloccare il pagamento dell’intera massa di crediti che le aziende avanzano dallo Stato, scongiurando, da un lato, un’impennata del debito pubblico e garantendo, dall’altro, le più elementari condizioni di democrazia economica: ovvero, pagare i creditori dello Stato in tempi ragionevoli.
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