Costa quasi 18 miliardi di euro all’anno e nel 2011 ha protetto un lavoratore dipendente su 4, per un totale di 3,8 milioni di persone. Funziona così il sistema degli ammortizzatori sociali esistenti in Italia: uno dei capitoli più spinosi della prossima riforma del mercato del lavoro, che tiene alta la tensione tra governo e sindacati.
Il ministro del welfare, Elsa Fornero, vorrebbe cambiare il meccanismo delle tutele, per estenderle anche a molte categorie professionali che oggi sono scoperte, ma dovrà probabilmente scontrarsi con la logica dei numeri, visto che le risorse sono poche e l’esecutivo guidato da Mario Monti non può permettersi il lusso di creare nuove voci di spesa a carico dello stato.
Per questo, pur essendo d’accordo con Fornero in linea di principio, Cgil, Cisl e Uil temono che il governo decida di tagliare le protezioni ad alcune categorie professionali, soprattutto ai dipendenti dell’industria, per spalmarle su una platea più ampia di lavoratori.
Gli assegni erogati in Italia a chi perde l’occupazione (o viene lasciato temporaneamente a riposo), oggi si basano infatti su 3 pilastri molto solidi.
- La cassa integrazione guadagni (Cig), che protegge principalmente i lavoratori dell’industria impiegati nelle aziende con più di 15 dipendenti.
- Gli assegni ordinari di disoccupazione;
- Gli assegni di mobilità, che spettano invece a chi ha terminato il periodo di cassa integrazione o non ne ha diritto.
La Cig, si divide poi in 3 sotto-categorie:
- la cassa integrazione ordinaria, applicata nelle aziende che attraversano una fase temporanea di difficoltà;
- la cassa integrazione straordinaria ;
- lacassa integrazione in deroga, destinata come quella straordinaria alle imprese in grave crisi o addirittura in stato fallimento.
Ora, il ministro Fornero vorrebbe un po’ sfoltire questo complesso sistema di ammortizzatori sociali, mantenendo soltanto 2 pilastri: la cassa integrazione ordinaria (estendendola un po’) e un nuovo assegno di disoccupazione universale, che protegga tutti i lavoratori, anche quelli impiegati nelle piccole aziende o con un contratto precario.
Sarà però difficile riuscire nell’impresa, senza creare nuovi oneri al bilancio pubblico o senza tagliare qualche tutela già esistente. Soltanto nel 2011 (come ha evidenziato di recente un’analisi a cura della Uil), gli ammortizzatori sociali italiani (che vengono erogati dall’Inps) sono costati nel complesso 17,9 miliardi di euro.
Di questi, poco meno del 50% (cioè 8,6 miliardi) è stato finanziato con i contributi pagati dalle aziende e dai lavoratori, mentre oltre la metà (vale a dire più di 9 miliardi) ha pesato sulla fiscalità generale, cioè sulle casse dello stato.
Senza dimenticare, poi, un particolare tutt’altro che trascurabile: tra le diverse categorie di sussidi, c’è n’è soltanto una che risulta in perfetto equilibrio finanziario. Si tratta della cassa integrazione ordinaria (Cigo) che, nel 2011, è costata poco più di 1,1 miliardi di euro, interamente coperti dai contributi versati dalle aziende e dai loro dipendenti (che ammontano a ben 2,8 miliardi di euro all’anno).
Per tutti gli altri ammortizzatori sociali, invece, il saldo tra le entrate contributive e la spesa per gli assegni risulta in profondo rosso: è il caso della Cig straordinaria (Cigs) e di quella in deroga (-2,7 miliardi all’anno circa), della mobilità (-1,5 miliardi) e soprattutto del sussidi alla disoccupazione (il cui deficit supera addirittura i 6 miliardi).
Dunque, sorge spontaneo un interrogativo: come riuscirà il ministro Fornero a estendere i sostegni alla disoccupazione, se già oggi i contributi versati dai lavoratori e dalle imprese non riescono a coprirli? È proprio questo il punto su cui si giocherà l’esito delle trattative sulla riforma del lavoro.
Inizialmente, infatti, il ministro Fornero sembrava intenzionata a sottrarre un po’ di risorse ad alcuni ammortizzatori sociali che esistono già, cioè dalla cassa integrazione straordinaria e dalla mobilità, per dirottarli verso la Cig ordinaria e soprattutto verso i sussidi alla disoccupazione, rendendoli universali.
I sindacati, però, fanno quadrato: non vogliono rinunciare alle tutele già in vigore e propongono piuttosto di estendere i sussidi attraverso un sistema assicurativo, cioè imponendo nuovi oneri a carico dei lavoratori e delle imprese che oggi non pagano i contributi alla disoccupazione.
C’è infatti un particolare importante, che Cgil, Cisl e Uil non hanno esitato a mettere in evidenza: mentre la Cig straordinaria e la mobilità oggi hanno una durata molto lunga (che può arrivare sino a un massimo di 36 mesi nell’arco di 5 anni), gli assegni ordinari alla disoccupazione sono molto meno generosi e si protraggono per un periodo molto breve, cioè per non più di 8 mesi (12 mesi per gli ultra 50enni)
Non sarà dunque facile sbrogliare il bandolo della matassa, a meno che non si trovi una soluzione intermedia, che per adesso appare però molto improbabile: finanziare i nuovi ammortizzatori sociali con ulteriori voci di spesa a carico dello stato.
Negli anni scorsi, per esempio, il Partito Democratico aveva avanzato la proposta di estendere i sussidi alla disoccupazione, attraverso un costo aggiuntivo calcolato nell’ordine di 3-4 miliardi di euro.
Le stime andrebbero però aggiornate visto che, con l’arrivo della crisi economica, l’esercito dei senza lavoro si è ingrossato notevolmente. È più probabile, invece, che il governo decida di temporeggiare. La riforma degli ammortizzatori sociali potrebbe infatti entrare in vigore in maniera graduale, entro il 2017, come ha fatto sapere il segretario della Cgil, Susanna Camusso, al termine del vertice di ieri con il ministro Fornero .
La speranza è che, nel frattempo, la crisi economica giunga finalmente al capolinea, riducendo il numero dei licenziati.
Nessun commento:
Posta un commento