Bene hanno fatto quindi Mario Monti e Giorgio Napolitano a insistere per evitare assalti alla diligenza e stravolgimenti dei testi sia nel Milleproroghe, sia nel decreto liberalizzazioni. Dall'energia alle professioni, dai taxi alle farmacie alle banche ci sono spazi di manovra per azioni di messa a punto, non per ritorni al passato. Non a caso lavoro, liberalizzazioni e credito sono temi che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha analizzato insieme nella sua importante intervista al «Wall Street Journal», in cui rimette in gioco l'intero modello sociale europeo, in crisi perché non ha saputo o potuto garantire un futuro di lavoro ai giovani. Che devono essere il vero interesse da rappresentare.
Anche se declinati in chiave più domestica, lavoro e credito sono temi solo apparentemente distanti. Un doppio accordo su questi due fronti garantirebbe un impatto molto incisivo sulla reputazione italiana e sulla sua stabilità, primo vero obiettivo in Italia per qualsiasi operazione di equità sociale e di rilancio dell'economia.
Con risultati tangibili, l'Italia si presenterebbe poi al mondo come un Paese che ha finalmente deciso di uscire da una sorta di adolescenza della non-scelta per accettare con responsabilità l'età adulta della decisione e del coraggio. Non-scelta che nei decenni – come dimostrano gli studi di Marco Simoni della London school of economics – aveva realizzato mezze riforme, dall'energia al lavoro, dalla revisione della pubblica amministrazione alle pensioni, perchè il bipolarismo imperfetto italiano ha sempre prodotto riforme nette in fase di propaganda elettorale e riforme annacquate in fase di via libera parlamentare.
Passi avanti se ne vedono al tavolo del lavoro: soprattutto sul tema dell'apprendistato, vero canale di ingresso al lavoro per i giovani se solo si riuscisse finalmente ad aumentarne anche i contenuti di formazione professionale. Imprese e sindacati sembrano vicini sul tema: ieri è arrivato anche lo schema unico di applicazione delle Regioni, un passo avanti positivo, atteso da anni, e che ha come unico limite quello di rischiare di dover essere rivisto (si spera celermente stavolta) alla luce della nuova imminente riforma. Ma tant'è.
In questa Italia all'anno zero del riformismo resta cruciale che non vengano stravolte, ma semmai aumentate le liberalizzazioni (credito, assicurazioni), misure che servono a ripulire il campo da gioco per il lavoro e lo sviluppo. Quanto all'articolo 18 e al delicato tema della flessibilità in uscita, che verrà affrontato nelle prossime ore, potrebbe aiutare circoscrivere l'argomento a ciò che esso davvero rappresenta: la necessità di avere tempi certi (e rapidi) nella definzione delle cause per licenziamenti discriminatori, la necessità di creare una via per gestire i licenziamenti per motivi economici a fronte di un equo indennizzo, magari potenziando forme arbitrali o affidati alle stesse parti sociali o allo stesso giudice.
La recessione avrà delle conseguenze inevitabili: sarà importante dunque allestire un sistema di ammortizzatori sociali allargato anche a chi non ne abbia, ma senza pesare solo sulla fiscalità generale e introducendo forme di assicurazione autofinanziate. Conta il futuro del Paese. Se solo si terrà questo come bussola per la difesa degli interessi l'accordo tra posizioni ora diverse non sarà irraggiungibile.
Analoga considerazioen vale per il tavolo tra Governo, Confindustria e Abi per evitare quella che il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha chiamato «l'asfissia del credito». La bussola dell'interesse generale – come ha suggerito lo stesso Monti – è quella più efficace. Sarebbe triste se quel tavolo venisse bloccato come "rappresaglia" per le misure sui conti correnti gratuti fino a 1.500 euro per i pensionati. Alle banche è stato dato molto, dalle garanzie pubbliche sulle passività ai nuovi business creati con le misure sulla tracciabilità.
È lo Stato ora che deve fare la sua parte di pagatore affidabile. Sono in gioco 70 miliardi di mancati pagamenti ai fornitori. Se l'amministrazione pubblica – ai vari livelli – onorasse i suoi impegni, oltre a dare un doveroso segnale etico, darebbe la più forte spinta di spesa pubblica immaginabile oggi. Un po' Keynes, un po' Calvino.
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