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giovedì 23 febbraio 2012

Tempo Libero

RICERCHE americane e italiane hanno rilevato che, da dieci anni a questa parte, tra quanti lavorano, c'è la tendenza a mettere al primo posto, tra le richieste, non più il denaro o i benefit di varia natura, ma il tempo libero, quasi si fossero resi conto che se è vero che per vivere occorre lavorare, non è più vita quella totalmente assorbita dal lavoro.

In pratica si sono stancati di affidare i propri figli alle baby-sitter, i propri vecchi alle badanti, la cura della casa alle colf, le feste dei bambini alle agenzie che si incaricano, perché non hanno più tempo, e quindi sono costretti a delegare al mercato dei servizi la propria vita relazionale, quando non addirittura la propria vita intima, di cui si sentono deprivati dagli orari di lavoro o dall'impiego di entrambi i componenti la coppia genitoriale, perché altrimenti, senza due stipendi, non si arriva alla fine del mese.

Nelle società come le nostre, dove il denaro è diventato l'unico generatore simbolico di tutti i valori, si è pensato, negli anni '80 e '90, che potendo pagare, e quindi lavorando tutto il tempo per poterselo permettere, ciascuno potesse meglio realizzare se stesso e, soprattutto in ambito femminile, realizzare la propria indipendenza. Di qui la scelta degli asili non in base ai criteri educativi, ma esclusivamente in base al tempo in cui intrattengono i bambini, l'affido degli adolescenti alle scuole, preferibilmente quelle private, dove i risultati si crede siano più garantiti, i disagi giovanili affidati agli psicologi perché i tempi di comunicazione nell'ambito familiare, quando non sono ridotti, sono del tutto assenti.


Non parliamo poi della relazione emotiva, sentimentale e sessuale tra i coniugi che, soffrendo per la mancanza di tempo, diventa svogliata, disinteressata e non compensata dai regali di compleanno, dall'offerta di cene annoiate al ristorante, o da una settimana di vacanze in paesi esotici comprata in un'agenzia di viaggio.

Oggi questo stakanovismo nel lavoro per procurarsi denaro con cui realizzare la propria indipendenza sta svelando il rovescio della sua medaglia, che è poi la perdita della propria vita emotiva, per cui tutto diventa indifferente e nulla più stimolante. Neppure il weekend, perché non si può negli ultimi due giorni della settimana recuperare un mondo relazionale trascurato negli altri cinque giorni dove, da mane a sera, sia reperita la propria identità nella propria funzione nell'apparato, che ci prevede produttori di denaro nei giorni feriali per il suo consumo in quel di festivi.

Lo spostamento dell'auto-realizzazione nel mondo del lavoro con conseguente de-realizzazione nel mondo della famiglia e più in generale degli affetti ha fatto crollare anche l'ideologia del "tempo-qualità", che poi non è altro che il modo con cui, ingannandoci, si chiama il tempo che si dedica agli affetti quando è "poco", quando non si ha tempo di ascoltare i figli se non per i risultati scolastici, quando non si ha tempo di vedere sulla faccia del nostro compagno o compagna di vita i segni del disagio, quando non si ha neppure il tempo di prendere contatto con quello sconosciuto che, a furia di lavorare, ciascuno diventa per se stesso.

In questa campagna elettorale sentiamo un gran parlare di famiglia, ma sempre e ancora in termini di denaro (riduzione dell'Ici sulla casa, bonus per i nuovi nati), mai in termini di tempo. Come se il mondo emotivo, affettivo, relazionale, sempre più sacrificato, potesse essere compensato col denaro con cui affidare al mercato tutta la cura che sottraiamo ai figli, agli anziani, alle relazioni reciproche, familiari e di vicinato, cura della propria vita emotiva, senza la quale risulta difficile distinguerci dalle macchine industriali, informatiche, burocratiche, con cui quotidianamente interagiamo.

Sembra che i giovani, carenti come sono stati di cure genitoriali, di tempo a loro dedicato, di affetto continuativo e non saltuario mescolato con ansia, siano più sensibili al valore del tempo libero (dal lavoro) che è poi il tempo per sé, anche se questo loro desiderio confligge col modello produttivo, costretto a diventare turbo - produttivo per effetto della concorrenza globale.

Eppure qui una scelta si impone, se vogliamo evitare quell'alienazione, quella lontananza di sé da sé, che già Marx a suo tempo denunciava, con la sola differenza che al suo tempo avveniva per costrizione e oggi per autocostrizione, perché ognuno tende a consegnare la propria identità alla propria disponibilità economica e quel riconoscimento che non viene più dallo sguardo di un uomo, di una donna, di un figlio, ma dall'avanzamento in carriera, che conferisce prestigio in una società fatta più di relazioni formali che affettive.

Chiedere tempo libero e non più solo denaro e benefit è un modo per recuperare l'umano e non soccombere a quell'atrofia emotiva in cui uno non solo non è più in grado di riconoscere l'altro, ma alla fine neppure se stesso. Le nuove generazioni sembra l'abbiamo intuito.

Se riusciranno a rivendicare tempo libero saranno la più significativa delle rivoluzioni, perché riconsegneranno una speranza all'uomo nell'età della tecnica che, col suo sguardo guidato solo dalla più fredda razionalità, fatica a distinguere un uomo da una macchina.

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