L'Italia è uno dei paesi ricchi che ha la maggior disponibilità di risorse idriche: 2.800 metri cubi per abitante l’anno, pari ad una disponibilità teorica di circa 52 miliardi di metri cubi, con distribuzione differente tra le regioni; una media per abitante di almeno 400 metri cubi, dieci volte superiore alla quota disponibile nei paesi del sud del Mediterraneo.
Com'è possibile, allora, che lo stesso Paese soffra di problemi di siccità durante l'anno, e in particolare nei mesi più caldi?
Per rispondere a queste domande, Legambiente ha anticipato la pubblicazione di alcuni dati dell'annuale rapporto “Acqua bene comune, responsabilità di tutti”, realizzato in collaborazione con Istituto Ambiente Italia, e presentato in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua, tenutasi lo scorso 22 marzo.
Il maggior utilizzatore d'acqua è il settore agricolo: almeno 20 miliardi di metri cubi l’anno, un dato che potrebbe essere sottostimato. Seguono il settore civile (9 miliardi), l'industria (8 miliardi), la produzione di energia (5 miliardi). Per uso civile utilizziamo 152 metri cubi per abitante l'anno, molto più di Spagna (127), Regno Unito (113) e Germania (62). Il prelievo eccessivo ha effetti diretti sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee, perché non permette la circolazione idrica naturale necessaria a mantenere vivo l’ecosistema e a diluire gli inquinanti nei fiumi e nelle falde.
Legambiente punta il dito anche contro le tecniche di irrigazione in agricoltura, definite “superate e inefficienti”: un ammodernamento dei metodi irrigui permetterebbe un risparmio dell’ordine del 30%, così come la scelta di colture più adatte ai terreni esposti a siccità.
Altro nodo centrale che emerge dal rapporto sono i problemi mai risolti relativi agli scarichi inquinanti civili e industriali, ai depuratori mal funzionanti e all’artificializzazione dei corsi d’acqua. Delle 549 stazioni di monitoraggio censite nell’annuario 2010 dell’Ispra, solo il 52% raggiunge o supera il “buono stato” (e si tratta dei tratti montani dei corsi d’acqua), il 35% delle stazioni è appena sufficiente e quasi un quarto delle stazioni presenta uno stato scarso o addirittura pessimo. Un'emergenza che si presenta non solo nelle aree dove mancano fognature e depuratori ma anche dove la rete è funzionante già da anni. Anche su questo punto Legambiente richiama la necessità di intervenire completando le infrastrutture incomplete e integrando approcci e tecniche innovativi: sanitari a basso consumo, sistemi per la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie. Un invito a ripensare la pianificazione territoriale e urbanistica per ridurre l’artificializzazione e l’impermeabilizzazione dei suoli, che fanno confluire nelle fogne le acque meteoriche che vanno a sovraccaricare inutilmente i depuratori.
Il rapporto suggerisce anche di modificare il decreto del ministero dell’Ambiente per favorire l'utilizzo delle acque reflue in agricoltura, poiché i limiti attuali alla carica batterica sono troppo restrittivi (1000 volte più dell’Oms).
Il rapporto, infine, oltre ad offrire molti dati su altri aspetti ambientali, dalla mobilità all'inquinamento atmosferico, individua una responsabilità più generale: “L’acqua in Italia costa troppo poco, negli usi civili come in agricoltura o nell’industria, e per questo se ne consuma troppa. Assicurato l’accesso universale al servizio e la fornitura minima per tutti, il prezzo dell’acqua va fissato tenendo conto che si tratta di un bene scarso, probabilmente destinato a scarseggiare sempre più anche a causa dei cambiamenti climatici, da consumarsi parsimoniosamente, attraverso un sistema tariffario che scoraggi gli sprechi e recuperi risorse per migliorare il servizio”.
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