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giovedì 1 marzo 2012

Ma chi glieli dà nel privato 300 mila euro ai manager?


Se dirigenti di pubbliche amministrazioni, presidenti di authority, direttori di agenzie, generali di corpi d'armata e amministratori di società pubbliche guadagnano come in nessun altro Paese al mondo, la colpa è anzitutto della politica scrive Enrico Zanetti, direttore di Eutekne.info. Se mettere un tetto alle remunerazioni comporterà una fuga dal settore pubblico di tutte le professionalità più elevate, come paventato alcuni giorni fa da Monti, è un rischio che siamo disposti a correre. Molti di questi signori constateranno che guadagnare 300mila euro facendo il dirigente di un'azienda privata non è automatico e, alla prova dei fatti, si guarderanno bene dal lasciare posti per i quali, anche con quel tetto, ci sarebbe comunque la fila.

La politica gongola nel vedere sotto i riflettori gli stipendi ed i compensi dei grand commis di Stato e rilancia: loro sono la vera casta, non noi.
In verità, se dirigenti di pubbliche amministrazioni, presidenti di authority, direttori di agenzie, generali di corpi d'armata e amministratori di società pubbliche guadagnano come in nessun altro Paese al mondo, la colpa è anzitutto di una classe politica che lo ha permesso.
Il fatto stesso che un politico possa gongolare, all'idea di essere messo a nudo, davanti all'opinione pubblica, come utile idiota per questi umili servitori dello Stato, è forse la prova finale che ne certifica l'inettitudine esistenziale.

Mettere un tetto alle remunerazioni che un soggetto può percepire dallo Stato, dalle sue mille articolazioni e dal parastato, quale che sia il suo alto incarico, è oggi un segnale doveroso. Il tetto di cui si parla, circa 300mila euro, è ben lungi dall'essere troppo stringente e populistico: per lo meno, lo si introduca con effetto immediato e senza deroghe, come si è fatto un mese fa, senza pensarci due volte, per le tariffe dei professionisti con il decreto sulle liberalizzazioni.

Questo comporterà una fuga dal settore pubblico e parapubblico di tutte le professionalità più elevate, come paventato alcuni giorni fa dal Premier Monti? È un rischio che siamo disposti a correre.
In primo luogo, perché molti di questi signori constateranno che guadagnare 300mila euro facendo il dirigente di un'azienda privata o gestendo una propria attività professionale non è esattamente automatico e, alla prova dei fatti, si guarderanno bene dal lasciare posti per i quali, anche con quel tetto, ci sarebbe comunque la fila.

In secondo luogo, perché ancora maggiore è il rischio che corre un Paese in cui essere un grand commis di Stato risulta più appagante che essere un dirigente d'azienda o un libero professionista di successo, quando questo maggiore appagamento non deriva soltanto dal punto di vista del riconoscimento sociale del ruolo (come doveroso), ma anche da quello del trattamento economico.

Troppo comodo definirsi servitori dello Stato e declamare l'importanza del senso delle istituzioni e lo spirito di servizio, ma pretendere al contempo trattamenti economici che nulla hanno a che vedere con questi encomiabili valori.

Per altro, non è ozioso chiedersi se la crescente corruzione su cui, anche di recente, ha richiamato l'attenzione il presidente della Corte dei conti non trovi le proprie radici anche in questa inopportuna e parallelamente crescente commistione tra ruolo sociale di uomini delle istituzioni al servizio del Paese e trattamento economico da manager in carriera. Stare nelle istituzioni deve essere una scelta di campo, non una valutazione di convenienza.

Senza ovviamente estremizzare il ragionamento fino a populistici pauperismi, ma non è appunto quello che determina un tetto a 300mila euro. Ora, lo si applichi, o si taccia per sempre.


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