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giovedì 1 marzo 2012

Mattone in crisi, 300 mila posti bruciati in 5 anni

Qualcuno storcerà il naso: l’edilizia, le costruzioni, sembrano settori «vecchi», roba che non serve per innovare un sistema economico che non può farcela se resta ancorato a comparti che erano strategici un secolo fa. Eppure - per definizione - è uno dei settori più efficaci dal punto di vista anticiclico, più potenti come generatori di occupazione, più utili quando si tratta di rimettere in moto un’economia schiantata dalla recessione. Il problema, per dirla sia con i sindacalisti che con gli imprenditori, è che «il settore è al disastro».

Quattro anni di recessione stanno letteralmente spazzando via il comparto. A scorrere i numeri, c’è da rabbrividire. Sono oltre 300.000 posti di lavoro persi (pari al 25% del totale), che sono 380.000 se si considera l’intera filiera delle costruzioni. Più di 60.000 imprese chiuse (meno 15%). Ridotti a quasi nulla gli investimenti in opere pubbliche. Edilizia privata completamente ferma. Lo Stato che accumula ritardi nei pagamenti alle imprese: una volta - ed ora le imprese lo considererebbero un grande risultato - ci impiegava nove mesi; adesso si arriva anche a tre anni. Lo Stato non paga, le banche non fanno più credito, neswsuno paga nessuno, i piccoli imprenditori sono strangolati.

Migliaia di fallimenti, ma si moltiplicano purtroppo anche i suicidi. E, ancora, crescita del lavoro nero, grigio e sommerso, espansione del capolarato a tutte le latitudini, operai dei cantieri «assunti» con Partite Iva. Si moltiplicano le procedure di riduzione del personale per fine lavori e il ricorso alla cassa integrazione, che interessano realtà produttive in prevalenza medio-piccole.

Secondo i dati dei costruttori dell’Ance, il 2011 si chiuderà con una riduzione degli investimenti in costruzioni del 5,4%; una ulteriore diminuzione del 3,8% è prevista per il 2012. In cinque anni, dal 2008 al 2012, il settore delle costruzioni avrà perso il 24,1% in termini di investimenti, tornando sui livelli della metà degli anni ‘90.

Risultati molto negativi segnano la produzione di nuove abitazioni che nel quinquennio avrà perso il 40,4%; in forte calo è anche l’edilizia non residenziale privata con una diminuzione del 23,3%. Per i lavori pubblici, la riduzione degli investimenti, nello stesso periodo si attesta al 37,2% ma se si tiene conto dell’andamento negativo già in atto dal 2005 il calo produttivo raggiunge il 44,5%. Continua ad ampliarsi il ricorso alla Cassa Integrazioni Guadagni: il numero delle ore autorizzate dalla Cig per i lavoratori del settore è cresciuto da circa 40 milioni di ore nel 2008 a 104 milioni nel 2010, e secondo stime sindacali quella straordinaria nel 2011 è cresciuta del 126,7% rispetto al 2010. Con riferimento all’occupazione dipendente, e considerando che il calo delle ore lavorate è di circa il 20% dall’inizio della crisi, si stima che i posti di lavoro persi nelle costruzioni siano circa 300.000. Considerando anche gli effetti sui settori collegati, la perdita occupazionale complessiva sale a circa 380.000 unità.

Una crisi tanto disastrosa da aver praticamente costretto imprenditori e sindacati di categoria a una inedita alleanza. Nel dicembre del 2010 insieme organizzarono gli «Stati generali dell’Edilizia». A metà febbraio i costruttori dell’Ance si sono appellati a Monti dichiarando il «default» del settore. Il 3 marzo invece Fillea-Cgil, Filca-Cisl e FenealUil hanno organizzato una manifestazione nazionale a Roma chiedendo al governo un confronto per sbloccare risorse per riaprire i cantieri e una lotta serrata al lavoro irregolare e alle infiltrazioni della criminalità. Antonio Correale, leader della Feneal-Uil, chiede al ministro dello Sviluppo Economico Passera di non occuparsi solo di Tav: «apprezziamo, ma ci auguriamo che mostri la stessa solerzia nel pronunciarsi sulla realizzazione di altre opere fondamentali per il Paese, infrastrutture, prevenzione e cura del territorio, a partire dal Sud. Il nostro settore non chiede favori, non chiede privilegi, chiede invece di essere ancora una volta il volano che serve all’economia italiana per ritrovare la via dello sviluppo».

Walter Schiavella, numero uno della Fillea-Cgil, concorda, ma lega la crisi al confronto in corso sull’articolo 18. «La situazione dell’edilizia, dove c’è il massimo di precarietà e temporaneità sia in entrata che in uscita spiega - è la dimostrazione che la flessibilità non porta affatto investimenti e crescita. Noi vogliamo lavoro: lavoro tutelato, regolare, pulito, e chiediamo ammortizzatori sociali efficaci che non possono certo essere a costo zero. Così non resistiamo più». L’agenda sindacale è molto vicina a quella dei costruttori. «Siamo allo stremo - chiarisce Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance - per questo chiediamo innanzitutto un rapido intervento sul problema dei pagamenti della pubblica amministrazione, per andare ragionevolmente verso tempi di pagamento fisiologici. Secondo, interventi per riaprire i flussi del credito bancario.

Terzo, investimenti concreti da parte dello Stato: ogni volta si parla di miliardi e miliardi fantomatici “sbloccati” per le megaopere, ma già sarebbe importante che venissero finanziate adeguatamente anche operazioni “piccole” ma strategiche ed utili, come il recupero delle scuole e il riassetto idrogeologico. Sappiamo che non ci sono soldi e che serve rigore - conclude Buzzetti - ma non chiamiamo in causa l’Europa solo quando si parla di sacrifici. Copiamola anche sui pagamenti in tempi giusti e su aiuti fiscali, ad esempio per le ecoristrutturazioni degli immobili».

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