È opportuno in questo quadro spendere una parola sulla possibilità di un tempo di vacanza, che - nonostante tutto, in forme forse diverse dal solito e, di certo, con maggiore sobrietà per i più - segnerà i giorni immediatamente prossimi? La mia risposta è un «sì», che motiverei col bisogno - tutt'altro che superficiale o evasivo - di sperimentare una rigenerante "leggerezza". Una «reazione al peso di vivere»: così Italo Calvino, nella prima delle sue Lezioni americane, definiva la ricerca della leggerezza. La constatazione che la vita ordinaria possa essere per molti pesante nei suoi ritmi e nei suoi appuntamenti è tanto evidente che non sembra abbia bisogno di prove: e se questo vale per ogni tempo, tanto più mi pare valga nella stagione di crisi che attraversiamo.
Che cos'è dunque questa leggerezza, più o meno consapevolmente inseguita? Nella sua geniale capacità espressiva Agostino ci aiuta a definirla: la levità di cui tutti abbiamo bisogno non è quella della "vanitas", ma quella della "veritas". La vanità è esteriorità, stordimento, fuga: lungi dal risolvere i problemi, li nasconde e li evita. Incapace di guardarsi allo specchio, chi cerca di alleviare il peso della vita inseguendo una maschera rassicurante resta prima o poi inevitabilmente vuoto: gli esempi - dagli scenari della politica a quelli della cosiddetta "cultura spettacolo", dai sorrisi televisivi alla parola d'ordine dell'imbonitore di turno, che punta a "rassicurare sempre", ad ogni costo, soprattutto a costo della verità - non mancano di mostrarsi a chi voglia ragionare con la propria testa, guardando il mondo senza cedere alla tentazione consolatoria e stucchevole. La leggerezza cercata nella "veritas", invece, è quella che sfronda la vita dall'inessenziale, che punta al centro e al cuore di ciò che conta, che non fugge le domande vere, ma ama porsele per pensare alto e per cercare in alto. È la levità di un tempo vissuto come dono, ricevuto e nuovamente offerto in rapporti riscoperti, dialoghi ritrovati, riconciliazioni cercate e, a volte, compiute. È lo spazio di letture per cui non si ha mai tempo e che invece rendono il tempo più lieve e più ricco di risorse interiori. È un nuovo incontro con la natura, con la sua bellezza e il suo silenzio, con la corrispondenza che a volte essa rivela con i desideri più profondi del cuore. È la levità di una rinnovata esperienza spirituale, che apra all'ascolto dell'Altro e alla ricerca del Suo volto nascosto, di cui - come dice ancora Agostino - la nostra inquietudine esistenziale ha bisogno più dell'aria che respira il nostro corpo: «Ci hai fatto per Te, ed inquieto è il nostro cuore finché non riposi in Te» (Confessioni I,1).
Non si tratta, allora, di fuggire i problemi del quotidiano o i dolori del tempo, presenti nell'esperienza dei più e profusi dall'informazione di ogni giorno: la leggerezza non è evasione. Al contrario, si tratta di ritornare a noi stessi, di ricordarci di ciò che conta e per cui vale la pena di esserci, di ritrovare i legami che fanno bella la vita e ce la fanno apparire degna di essere vissuta. Si tratta non tanto di cambiare luogo, quanto di cambiare "dentro", purificando il nostro modo di vedere le cose e di viverle. Per dirla ancora con Italo Calvino, si tratta di adempiere un compito semplice, necessario: «Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell'irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica...». Nel Vangelo di Marco, agli apostoli affannati per tutto quello che hanno fatto e insegnato, Gesù non esita a dire: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». L'Evangelista sottolinea che «erano infatti molti quelli che andavano e venivano» e che essi «non avevano neanche il tempo di mangiare». Per dipingere poi, con scarna essenzialità, il tempo lieve, o se si vuole la loro "vacanza", vissuta in risposta all'invito del Maestro: «Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte» (Marco 6,30-32). La leggerezza rigenerante è anche raccoglimento, esperienza di solitudine amorosa e sapiente, silenzio. Resta inquietante la domanda di Martin Heidegger: «Ciò che importa, è solo che la verità dell'Essere venga al linguaggio e che il pensiero pervenga in questo linguaggio. Può darsi che allora il linguaggio richieda, invece di un'espressione precipitosa, un giusto silenzio. Tuttavia chi di noi uomini d'oggi può immaginare che i suoi tentativi di pensare si trovino a proprio agio sul sentiero del silenzio»? (Lettera sull'umanismo, 110)
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