Nessun taglio per le pensioni d’oro dei manager pubblici. Il governo ha fatto spallucce, anche se il provvedimento è stato pensato proprio per ridurre quel tipo di privilegi
Tagli spesa pubblica e pensioni d'oro, ultime notizie Roma - Niente da fare: nel dl sulla spending review non c’è spazio per il taglio alle pensioni d’ora per i manager pubblici. Il governo ha detto no. Nonostante il disegno di legge sia stato concepito proprio per ridurre la spesa e gli sprechi. L’esecutivo, però, ha promesso di reintrodurre il tetto in un secondo momento. C’è da credergli? Vedremo. Anche se già in altre occasioni (ad aprile e maggio) il governo si era espresso con un parere contrario al taglio delle pensioni d’oro.
Verrebbe quasi da dire: la spending review non è uguale per tutti. Tagli sì, ma mirati. C’è, insomma, qualcuno da assolvere. Almeno questo è quello che potrebbe sembrare vista la notizia di ieri (confermata dalle note parlamentari delle principali agenzie di stampa): l’emendamento presentato da Guido Crosetto (Pdl) che prevede un taglio alle pensioni d’oro dei manager pubblici, non sarà approvatodalle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio della Camera.
L’esecutivo ha chiesto di rimandare: tempi troppo brevi pare sia stato il motivo del rinvio, dato che, secondo alcune fonti parlamentari, la spending review sarà licenziata dall’esecutivo dopo il consiglio europeo del 27-28 giugno. D’altronde lo stesso viceministro Grilli ha dichiarato che l’approvazione dovrebbe essere solo una “questione di giorni”.
Non si sarebbe fatto in tempo, in pratica, ad inserire l’emendamento di Crosetto.
Non c’era modo di discuterne e, nel caso, di apportare modifiche. Ma cosa avrebbe previsto il testo del parlamentare Pdl? Le pensioni “erogate in base al sistema retributivo, non possono superare i 6.000 euro netti mensili. Sono fatti salvi le pensioni e i vitalizi corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo”. In più se questa pensione godesse anche di altri trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, “l’ammontare onnicomprensivo non può superare i 10.000 euro netti mensili”.
I relatori del disegno di legge Roberto Occhiuto (Udc) e Anna Maria Bernini (Pdl) e l’esecutivo tutto, però, hanno assicurato: torneremo sulla questione. Tratteremo il tetto alle pensioni d’oro nel dl sviluppo.
Ora la domanda è una soltanto: c’è da fidarsi dell’esecutivo targato Mario Monti? Si spera di sì. Né sarebbe corretto non riporre una briciola di fiducia nelle promesse dell’esecutivo. I dubbi, tuttavia, non sono pochi. Per semplice presa di posizione? Assolutamente no. C’è di più. Forse pochi lo ricorderanno, ma già tempo fa l’esecutivo aveva fatto di tutto per preservare gli stellari stipendi dei manager pubblici.
Il 24 marzo scorso, infatti, viene approvato un decreto legge integrazione di un precedente decreto di gennaio (il Salva-Italia per intenderci). Al comma 2 dell’articolo 1 si stabilisce che le pensioni di tutti i dipendenti pubblici avranno, d’ora in poi, un termine di paragone, un parametro di riferimento: quello del primo Presidente della Corte di Cassazione. “In nessun caso - infatti - l’ammontare complessivo delle somme loro erogate da pubbliche amministrazioni potrà superare questo limite”.
Un parametro questo però che, così come concepito dal Governo, non era valido per tutti. Si leggeva, infatti, nel dl (proprio al comma 2 dell’articolo 1) che “i soggetti che alla data del 22 dicembre 2011 abbiano maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento, non siano titolari di altri trattamenti pensionistici erisultino essere percettori di un trattamento economico imponibile ai predetti fini, superiore al limite stabilito dal presente comma”. In pratica per gli alti funzionari nessun taglio.
Ma di chi stiamo parlando? Tra gli altri, di Antonio Mastropasqua, presidente dell’Inps, che porta a casa oltre un milione di euro all’anno (benefit e privilegi vari esclusi); Attilio Befera, presidente di Equitalia (oltre 450 mila euro di compenso all’anno); il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò (circa 475 mila euro). Mario Monti, in altre parole, voleva preservare i loro stipendi.
Non solo. A maggio l’Italia dei Valori presenta un emendamento proprio per abolire questo articolo. Alla fine in Senato l’emendamento Idv passa. Ma l’esecutivo, ancora una volta, aveva espresso parere contrario all’abolizione. A confermarlo lo stesso Partito Democratico. Gli onorevoli democratici, infatti, votarono contro l’emendamento Idv – e dunque contro il taglio delle pensioni d’oro – in massa (solo 7 a favore, 69 contrari). Il motivo? “Ce l’aveva chiesto il governo”, disse allora la Finocchiaro.
Verrebbe quasi da dire: la spending review non è uguale per tutti. Tagli sì, ma mirati. C’è, insomma, qualcuno da assolvere. Almeno questo è quello che potrebbe sembrare vista la notizia di ieri (confermata dalle note parlamentari delle principali agenzie di stampa): l’emendamento presentato da Guido Crosetto (Pdl) che prevede un taglio alle pensioni d’oro dei manager pubblici, non sarà approvatodalle Commissioni Affari Costituzionali e Bilancio della Camera.
L’esecutivo ha chiesto di rimandare: tempi troppo brevi pare sia stato il motivo del rinvio, dato che, secondo alcune fonti parlamentari, la spending review sarà licenziata dall’esecutivo dopo il consiglio europeo del 27-28 giugno. D’altronde lo stesso viceministro Grilli ha dichiarato che l’approvazione dovrebbe essere solo una “questione di giorni”.
Non si sarebbe fatto in tempo, in pratica, ad inserire l’emendamento di Crosetto.
Non c’era modo di discuterne e, nel caso, di apportare modifiche. Ma cosa avrebbe previsto il testo del parlamentare Pdl? Le pensioni “erogate in base al sistema retributivo, non possono superare i 6.000 euro netti mensili. Sono fatti salvi le pensioni e i vitalizi corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo”. In più se questa pensione godesse anche di altri trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, “l’ammontare onnicomprensivo non può superare i 10.000 euro netti mensili”.
I relatori del disegno di legge Roberto Occhiuto (Udc) e Anna Maria Bernini (Pdl) e l’esecutivo tutto, però, hanno assicurato: torneremo sulla questione. Tratteremo il tetto alle pensioni d’oro nel dl sviluppo.
Ora la domanda è una soltanto: c’è da fidarsi dell’esecutivo targato Mario Monti? Si spera di sì. Né sarebbe corretto non riporre una briciola di fiducia nelle promesse dell’esecutivo. I dubbi, tuttavia, non sono pochi. Per semplice presa di posizione? Assolutamente no. C’è di più. Forse pochi lo ricorderanno, ma già tempo fa l’esecutivo aveva fatto di tutto per preservare gli stellari stipendi dei manager pubblici.
Il 24 marzo scorso, infatti, viene approvato un decreto legge integrazione di un precedente decreto di gennaio (il Salva-Italia per intenderci). Al comma 2 dell’articolo 1 si stabilisce che le pensioni di tutti i dipendenti pubblici avranno, d’ora in poi, un termine di paragone, un parametro di riferimento: quello del primo Presidente della Corte di Cassazione. “In nessun caso - infatti - l’ammontare complessivo delle somme loro erogate da pubbliche amministrazioni potrà superare questo limite”.
Un parametro questo però che, così come concepito dal Governo, non era valido per tutti. Si leggeva, infatti, nel dl (proprio al comma 2 dell’articolo 1) che “i soggetti che alla data del 22 dicembre 2011 abbiano maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento, non siano titolari di altri trattamenti pensionistici erisultino essere percettori di un trattamento economico imponibile ai predetti fini, superiore al limite stabilito dal presente comma”. In pratica per gli alti funzionari nessun taglio.
Ma di chi stiamo parlando? Tra gli altri, di Antonio Mastropasqua, presidente dell’Inps, che porta a casa oltre un milione di euro all’anno (benefit e privilegi vari esclusi); Attilio Befera, presidente di Equitalia (oltre 450 mila euro di compenso all’anno); il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò (circa 475 mila euro). Mario Monti, in altre parole, voleva preservare i loro stipendi.
Non solo. A maggio l’Italia dei Valori presenta un emendamento proprio per abolire questo articolo. Alla fine in Senato l’emendamento Idv passa. Ma l’esecutivo, ancora una volta, aveva espresso parere contrario all’abolizione. A confermarlo lo stesso Partito Democratico. Gli onorevoli democratici, infatti, votarono contro l’emendamento Idv – e dunque contro il taglio delle pensioni d’oro – in massa (solo 7 a favore, 69 contrari). Il motivo? “Ce l’aveva chiesto il governo”, disse allora la Finocchiaro.
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